È TUTTA QUESTIONE DI ABITUDINI

Laura Realbuto, associata Junior 159

Da pochi giorni ho terminato di leggere il libro di Charles Duhigg intitolato “Il potere delle abitudini”; un libro istruttivo su tanti versi, molto piacevole da leggere, mai banale, ricco di tante informazioni e con una considerevole bibliografia di riferimento.

Ho deciso di leggerlo perché il tema del cambiamento è un tema cruciale per noi professional organizer: ogni persona che richiede un nostro intervento, che sia per sistemare la cantina o per riordinare l’armadio, nel momento in cui ha preso questa decisione, anche se inconsapevolmente, ha messo in moto un cambiamento.

Il libro tratta l’argomento delle abitudini su tre importanti fronti: quello dell’individuo, quello delle grandi aziende e quello della collettività. In questo articolo ti voglio parlarti di un aspetto particolare del primo fronte e cioè di come si formano le abitudini nelle persone, quali sono gli ingredienti di cui sono fatti e come si possono cambiare. Sì, perché ti sembrerà strano, ma le abitudini si possono cambiare, anche se alle volte ti sembra di dover scalare l’Everest.

Ma cosa sono le abitudini?

A tal proposito voglio raccontarti l’aneddoto di Forest Wallace. “Un giorno mentre due pesciolini nuotano tranquillamente, incontrano un pesce più vecchio che nuota controcorrente e quest’ultimo salutandoli chiede loro: – Ciao, com’è l’acqua? – i due continuano ad andare avanti un po’ perplessi, e ad un certo punto uno dice all’altro: – Ma cos’è l’acqua?”

Ecco, l’acqua rappresenta l’abitudine, perché come i pesciolini, noi ogni giorno compiamo una serie di azioni senza rendercene conto, un po’ come nuotare nell’acqua.

La definizione che Duhigg da nel suo libro delle abitudini, è la seguente: “le abitudini sono tutte quelle scelte che compiamo deliberatamente ad un certo punto della vita e a cui poi smettiamo di pensare, ma che continuiamo a fare spesso ogni giorno”.

Insomma, per farla breve è il famoso pilota automatico, quello che ci fa fare una determinata cosa mentre in testa magari stiamo stilando la lista della spesa.

Secondo gli scienziati, le abitudini si formano perché il nostro cervello è sempre alla ricerca di modi per risparmiare energia; ancor più comprensibile al giorno d’oggi, se pensiamo che viviamo in una società che corre di continuo, tra mille cose da fare, nel flusso delle informazioni che ha portato l’era digitale. Una società che erroneamente ricerca la mente multitasking e che in realtà spreca tempo nell’illusione di risparmiarlo.

Un’altra definizione sulle abitudini citata da Duhigg nel suo libro è quella di William James, che nel 1892 scriveva: “tutta la nostra vita è una massa di abitudini pratiche”. Per capire quanto le abitudini influiscano nelle nostre vite nel libro si cita un articolo pubblicato nel 2006 da un ricercatore della Duke University che ha rilevato come oltre il 40% delle azioni compiute dalle persone ogni giorno non sono altro che abitudini, e non decisioni come invece crediamo.

Si, ma come si formano queste abitudini?

Per farti capire come funzionano le abitudini dobbiamo fare un passo indietro e tornare negli anni novanta nel laboratorio del MIT – Massachusetts Institute of Technology – di Wolfram Shultz, professore di neuroscienze a Cambridge.

Gli studi di Shultz nell’ambito delle neuroscienze, per comprendere il funzionamento delle abitudini, sono stati condotti, senza creare danno alcuno agli animali, su un macaco di nome Julio.

Julio, chiuso in una stanza davanti ad uno schermo che proiettava dei simboli colorati, doveva tirare una leva ogni volta che vedeva il simbolo di colore giallo; una volta tirata la leva scendeva sulla sua bocca qualche goccia di succo di more. Il macchinario alla quale era collegato Julio, registrava tutta l’attività neuronale del suo cervello ed evidenziava un picco di piacere ogni volta che Julio riceveva la sua ricompensa, cioè il succo di more. All’inizio non fu facile per Julio capire che il simbolo giallo sullo schermo equivaleva alla ricompensa, ma man mano che ripeteva l’esperimento andò sempre meglio, fino a quando Julio capì definitivamente il meccanismo. Allora si notò che il segnale del picco di piacere evidenziato dalla macchina, che prima coincideva a ricompensa ricevuta, veniva anticipato al momento in cui Julio vedeva il simbolo giallo.

In buona sostanza l’abitudine si era radicata, creando quel percorso neuronale per cui il cervello anticipa il processo di ricompensa.

Ti faccio un esempio: io ero solita fare colazione con un tazzone di latte caldo e biscotti, era sempre così, lo facevo da anni. Mentre ero ancora nel letto che mi rotolavo tra le lenzuola, pensavo già alla mia colazione e mi veniva l’acquolina in bocca: il mio cervello aveva consolidato questa abitudine e quindi anticipava il senso di ricompensa (niente, adesso la pacchia finita perché sono a dieta).

Quindi, nel laboratorio del dottor Schultz si è scoperto che un’abitudine è fatta di tre ingredienti: il segnale, la routine e la gratificazione. Questo spiega perché le abitudini sono così potenti: perché creano dei bisogni neurologici. Di solito questi bisogni emergono in modo graduale, senza rendercene conto, ma quando associamo i segnali a certe gratificazioni, nel nostro cervello emerge un bisogno inconscio che innesca il circolo dell’abitudine.

Ma, si possono cambiare le abitudini?

Duhigg nel suo libro scrive che le abitudini non sono un destino a cui siamo costretti a piegarci, le abitudini si possono ignorare, modificare o sostituire. Quindi, premesso che ogni abitudine ha un segnale diverso e offre una gratificazione unica, che alcune sono semplici e altre molto complesse, che si basano su percorsi neuronali definiti nel nostro cervello, ogni abitudine è malleabile.

Per modificare un’abitudine è necessario:

– prendere una decisione;

– armarsi di forza di volontà;

– sforzarsi consapevolmente di identificare i segnali e le gratificazioni che guidano le routine per trovare delle valide alternative.

È sempre molto bello e costruttivo instaurare nuove sane abitudini, perché è un modo diverso di prendersi cura di sé e, anche se non direttamente, degli altri.

Ho notato nella mia esperienza personale che i benefici delle sane abitudini si propagano nel tempo e nella collettività, quindi buon cambiamento a tutti!

 

 

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